martedì 23 marzo 2010

'Viva Santoro!' La guerra dei 60 anni in Palestina, fra stragi e tabù

Questo è un Comunicato Stampa inviato il 19/01/2009 pubblicato sul giornale "Vivere Senigallia" del 19/01/2009 - 1693 letture - 9 commenti


'Viva Santoro!' La guerra dei 60 anni in Palestina, fra stragi e tabù
In una città, come Senigallia, che nel passato ha conosciuto l’obbrobrio di un ghetto ebraico e di un lager nazi-fascista ed ha dato i natali ai due fratelli ebrei Ugo e Rodolfo Mondolfo, intellettuali perseguitati dalla legislazione razziale, affinché certi orrori non si ripetano, ho avvertito il dovere morale di pubblicizzare queste osservazioni.
Osservazioni utili nel contesto politico italiano troppo spesso distratto o arroccato su generiche dichiarazioni di intenti, con il significativo esempio del transnazionale Marco Pannella, che in questi giorni non ha trovato di meglio da fare dello sciopero della sete per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’inefficienza della commissione di vigilanza della RAI.La trasmissione televisiva “Anno Zero”, condotta giovedì 15 gennaio da Michele Santoro sulla Rete 2, mi offre lo spunto per alcune doverose considerazioni sulle cause macroscopiche dell’annosa questione palestinese e dell’ennesimo sanguinoso eccidio, troppo spesso sottaciute, e che invece devono essere evidenziate per fornire una descrizione più trasparente dei tragici fatti, contribuendo così a rendere giustizia alle numerose vittime e forse ad accelerare il necessario processo di pace. Sorvolando sulla ricorrente diatriba intorno alla faziosità delle produzioni giornalistiche, ho fra l’altro pienamente condiviso la veemente e sincera affermazione del conduttore, quando ha negato la definizione di guerra ad un evento militare, che nei primi venti giorni di guerra contava da una parte circa un migliaio di vittime, fra cui trecento bambini, e dall’altra una decina, uccise anche dal cosiddetto “fuoco amico”. Si tratta cioè di un’altra delle ricorrenti carneficine di questo interminabile conflitto che, al di là dei disperati, faziosi o, peggio, cinici commenti di protagonisti ed osservatori di turno, più o meno politicizzati, affonda le sue radici nelle originarie cause storiche dell’ostilità, risalenti all’immigrazione ebraica della prima metà del Novecento, che frequentemente sono omesse o sottovalutate dagli analisti, quasi fossero argomenti tabù che preludessero alla delegittimazione ed al conseguente abbattimento dello stato d’Israele. Liberando subito il campo da questo apocalittico quanto utopistico scenario futuro, che lo scrivente rifiuta come un disastro umanitario da evitare, si deve però preliminarmente osservare che non tutto ciò che è giuridicamente lecito o storicamente ineluttabile è anche eticamente giustificabile e, di conseguenza, universalmente accettabile. Non sempre cioè gli esiti del diritto positivo e degli equilibri politici si accordano con i principi del giusnaturalismo moderno, coniati dal Grozio fin dal Seicento e poi variamente ripresi dalle legislazioni di grandi organismi internazionali, sostanzialmente sintetizzabili nel cosiddetto undicesimo comandamento cristiano del “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te stesso”. Per comprendere le profonde motivazioni dello scontro occorre quindi risalire ai primi anni del Novecento, quando nell’attuale territorio israelo-palestinese erano presenti circa 25.000 ebrei autoctoni, circa il 5% del totale, approssimativamente composto da 450.000 arabi e 50.000 cristiani, come si può evincere dai dati dell’enciclopedia telematica Wikipedia, ai quali volutamente si attinge per la loro verificabilità e neutralità. In quegli anni il neonato movimento sionista, con l’intento di dare una sicura patria comune ai tanti ebrei ancora ingiustamente perseguitati o emarginati in alcuni paesi, mete della diaspora, aveva preferito alla disabitata Terra del Fuoco argentina la biblica “terra promessa” palestinese, ancorché diffusamente insediata e sede della terza città santa per i maomettani: Gerusalemme. Fu così che iniziarono immigrazioni sempre più massicce, inizialmente accolte dagli arabi e favorite dalla potente Gran Bretagna - prima interlocutrice privilegiata e dal 1920 titolare di Mandato della Società delle Nazioni -, la quale nel 1917 con la “Dichiarazione Balfour” riconosceva ai sionisti il diritto di formazione di "un focolaio nazionale" in territorio palestinese – non un vero stato o nazione - con l’impegno di non danneggiare i "i diritti civili e religiosi delle comunità non-ebraiche della Palestina". Gli stessi inglesi, tramite il Libro Bianco del 1922, rassicurarono la popolazione araba sul fatto che la “Jewish National Home in Palestine” non era da intendersi come una nazione ebraica. L’alto numero di nuovi arrivati in zone già densamente popolate e la sistematica contiguità degli insediamenti ottenuti con acquisti, che, adottando la legislazione inglese, non tutelavano i precedenti diritti tribali consuetudinari di possesso e coltivazione, sollevarono però le prime reazioni nazionalistiche della popolazione araba, culminanti in una vera e propria belligeranza quando arrivarono le moltitudini di ebrei che fuggivano dalle persecuzioni naziste, prima e durante il secondo conflitto mondiale. Ormai era profondamente mutato il rapporto demografico fra popolazione araba e israeliana, che contava circa 600.000 unità nel 1947 pari al 50% degli islamici, di conseguenza, anche grazie agli aiuti finanziari del movimento sionista internazionale ed all’appoggio del nuovo alleato statunitense, la prima guerra arabo-israeliana vide la sconfitta dei palestinesi e la creazione del nuovo Stato di Israele, esteso approssimativamente come l’Emilia-Romagna e riconosciuto dall’ONU nel 1948. Cominciò così per molti palestinesi un periodo di esilio o di confino nel proprio stesso paese in campi-profughi, cioè bidonvilles in cui mediamente famiglie di una decina di persone, con vecchi e bambini, possono convivere in bilocali o monolocali fatiscenti addossati l’uno all’altro, dopo avere dovuto abbandonare le proprie normali abitazioni, ora insediate dagli immigrati israeliani. Questa penosa realtà, aggravatasi con i territori occupati nel 1967 e che si protrae ancora oggi, ed è stata personalmente constatata dal sottoscritto nel 1979 allorché era vietato dalle autorità israeliane di scattare foto pena la perdita del permesso di accesso nel paese, è una delle maggiori cause di ostilità, come dichiarò il giovane terrorista palestinese, nato in un campo-profughi ed autore del pluriomicidio ai danni di impiegati aeroportuali israeliani a Fiumicino nel 1985. Tale eccezionale e prolungata situazione postbellica non ha precedenti nelle guerre degli stati occidentali, dove normalmente nel dopoguerra alle popolazioni civili viene permesso di ritornare alle proprie abitazioni pur dovendosi sottomettere ai nuovi governi. Guerre, stragi, attentati terroristici e tentativi di pace si sono alternati negli anni, istigati o falliti sempre per un evento o un pretesto più o meno fortuiti o ricercati, quasi che una diabolica regia avesse voluto allontanare la pace mentre decine di migliaia di nuovi coloni continuavano di anno in anno ad arrivare in Israele, insediandosi stabilmente nelle aree palestinesi: la proclamazione unilaterale di Gerusalemme capitale mentre il presidente americano Carter si prodigava per una pace definitiva (1980); la strage dei rifugiati di Sabra e Shatila (1982); assegnazioni di terreni in Cisgiordania e Gaza ai coloni israeliani anche dopo gli accordi di Oslo, che destinavano tali aree all’Autorità Nazionale Palestinese (1993); l’assassinio del presidente Rabin, Nobel per la pace (1995); la riapertura di un antico tunnel sotterraneo (1996) e la provocatoria visita alla spianata delle Moschee (2000); il fallimento della pacificazione per il 5% di territorio negato ai palestinesi (2000); la costruzione del Muro divisorio (2002) e, da ultimo, l’embargo (2007) e la chiusura dei valichi con la Striscia di Gaza dopo lo sgradito successo elettorale del movimento estremista Hamas, che ha poi provocato l’esecrabile lancio di razzi nonché la sproporzionata reazione israeliana di questi giorni. Senza soffermarsi sulle testimonianze giornalistiche, tutte da dimostrare, dei colpi di cannone volontariamente indirizzati su sedi di rifugiati, tuttavia lo stesso lancio di bombe incendiarie, sia pure legalizzato sui campi di battaglia, in “una prigione a cielo aperto” come la Striscia di Gaza - una fascia costiera confinante con Israele per 51 km e a SE con l’Egitto per 11 - abitata da circa un milione e mezzo di persone, è uno strumento di strage per cittadini innocenti e indifesi. Conseguentemente, in chiusura, sarebbe bene cominciare a chiedersi, quello che stranamente la diplomazia occidentale non sembra fare, cioè se, insieme ai terroristi di Hamas, talvolta uccisi con le proprie famiglie, anche gli eventuali responsabili di queste atrocità militari saranno chiamati a risponderne a fine conflitto di fronte ad un tribunale penale internazionale, come ad esempio, senza scomodare i fantasmi di un lontano passato, recentemente è avvenuto per il leader serbo Milosevic, oppure dovremo nuovamente ritrovare premier di uno stato filo-occidentale uno degli indiretti corresponsabili di un massacro, quale quello di Sabra e Shatila?
da Ettore Baldetti
Questo è un Comunicato Stampa inviato il 19/01/2009 pubblicato sul giornale del 19/01/2009 - 1693 letture - 9 commenti
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In questo articolo si parla di: ettore baldetti, palestina, politica,
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Re: 'Viva Santoro!' La guerra dei 60 anni in Palestina, fra stragi e tabù
di Gaspa4 del 19/01/2009 ore 13:39:00
http://gaspatcho.blogspot.com
Taglio le prime deliranti affermazioni che sono opinioni personali e non mi interessano e comincio l'analisi storica:Fu così che iniziarono immigrazioni sempre più massicce, inizialmente accolte dagli arabi e favorite dalla potente Gran Bretagna - prima interlocutrice privilegiata e dal 1920 titolare di Mandato della Società delle Nazioni -, la quale nel 1917 con la “Dichiarazione Balfour” riconosceva ai sionisti il diritto di formazione di "un focolaio nazionale" in territorio palestinese – non un vero stato o nazione - con l’impegno di non danneggiare i "i diritti civili e religiosi delle comunità non-ebraiche della Palestina". Gli stessi inglesi, tramite il Libro Bianco del 1922, rassicurarono la popolazione araba sul fatto che la “Jewish National Home in Palestine” non era da intendersi come una nazione ebraica. Già, infatti gli inglesi promisero agli ebrei un "focolaio nazionale" e gli ebrei cominciarono a COMPRARE i territori arabi che li vendevano facendo profitti, perché i terreni erano scarsamente produttivi e la densità abitativa non era certo alta.Concordo sul fatto che gli inglesi furono ambigui promettendo una cosa agli ebrei e l'opposto agli arabi, ma questo non fu certo colpa degli ebrei.Né tanto meno si può affermare che gli inglesi furono benevoli verso gli ebrei che avevano dei limiti molto rigidi per i loro insediamenti.L’alto numero di nuovi arrivati in zone già densamente popolate e la sistematica contiguità degli insediamenti ottenuti con acquisti, che, adottando la legislazione inglese, non tutelavano i precedenti diritti tribali consuetudinari di possesso e coltivazione, sollevarono però le prime reazioni nazionalistiche della popolazione araba, culminanti in una vera e propria belligeranza quando arrivarono le moltitudini di ebrei che fuggivano dalle persecuzioni naziste, prima e durante il secondo conflitto mondiale.Che la Palestina fosse densamente popolata è una baggianata che dovrebbe argomentare portando dei numeri.A me risulta il contrario, dato che anche lei sostiene che nei primi anni del novecento in tutta la Palestina vivevano solo 550.000 persone su quasi 30.000 Km2.La densità era dunque di 18,3 abitanti per Km2.Per confronto, la densità abitativa italiana è di quasi 190 abitanti per Km2.Ci deve poi spiegare perché salta subito alla seconda guerra mondiale senza ricordare la proposta della Commissione Peel, la quale, prendendo atto della maggioranza ebraica in alcune zone della Palestina, già nel 1937 proponeva la divisione della regione in due stati, uno arabo e uno ebraico, con Gerusalemme sotto gestione internazionale.La proposta dava il 60% del territorio agli arabi ed il 40% agli ebrei, ma gli arabi rifiutarono la proposta inglese.Ormai era profondamente mutato il rapporto demografico fra popolazione araba e israeliana, che contava circa 600.000 unità nel 1947 pari al 50% degli islamici, di conseguenza, anche grazie agli aiuti finanziari del movimento sionista internazionale ed all’appoggio del nuovo alleato statunitense, la prima guerra arabo-israeliana vide la sconfitta dei palestinesi e la creazione del nuovo Stato di Israele, esteso approssimativamente come l’Emilia-Romagna e riconosciuto dall’ONU nel 1948. Ma cosa sta dicendo???Lei non sa di cosa parla!Nel 1948 gli USA non erano certo alleati di Israele tanto che all'inizio della guerra del '48 gli israeliani erano sotto embargo e l'unica nazione che gli vendette le armi fu la Cecoslovacchia comunista, altro che USA!!!Nel maggio del 1948 dopo la proclamazione dello stato di Israele, le nazioni arabe di Libano, Siria, Giordania, Iraq ed Egitto INVASERO il neonato stato di Israele pensando che fosse una preda facile, invece persero malamente la guerra!!!E questa fu solo la prima "pacifica" invasione di Israele da parte degli arabi!Questa penosa realtà, aggravatasi con i territori occupati nel 1967Già, infatti Isarele nel 1967 fu ancora attaccata da Egitto, Siria e Giordania che persero la guerra in 6 giorni.Gli arabi ci riprovarono anche nel 1973 con i medesimi risultati.Insomma Isarele subì ben 3 guerre da parte dei poveri e pacifici arabi.I profughi palestinesi erano talmente ben visti che Re Hussein di Giordania ne uccise qualche decina di migliaia perché stavano sovvertendo il suo regno e rifiutò sempre di riprendersi la Cis-Giordania, che era territorio giordano e non palestinese, perché non voleva aver nulla a che fare con i palestinesi.Stessa cosa fece l'Egitto con la striscia di Gaza, la quale, in origine, era territorio egiziano.I pacifici palestinesi si rifugiarono così nel Libano dove crearono, nella famigerata valle della Bekaa, un centro di addestramento dei terroristi sotto l'egida dei "pacifisti" sovietici. la strage dei rifugiati di Sabra e Shatila (1982); perpetrata dai cristiani maroniti libanesi, anche se ammetto che Sharon, all'epoca capo dell'esercito di occupazione, non fece nulla per fermare il massacro.Sui successivi accordi di pace bisogna dire che furono i palestinesi a non voler firmare gli accordi ed a non abbandonare mai l'idea della lotta per la distruzione di Israele.Nel 2000 Barak offrì ad Arafat il 97% del territorio occupato e gli occidentali finanziarono copiosamente l'autorità nazionale palestinese, ma Arafat rifiutò l'accordo ed i falchi ripresero il sopravvento da entrambe le parti.Tra l'altro l'ANP si intascò molti dei soldi arrivati, tanto che, alla morte di Arafat, i suoi eredi si contesero la cospicua eredità del leader a suon di battaglie legali!Conseguentemente, in chiusura, sarebbe bene cominciare a chiedersi, quello che stranamente la diplomazia occidentale non sembra fare, cioè se, insieme ai terroristi di Hamas, talvolta uccisi con le proprie famiglie, anche gli eventuali responsabili di queste atrocità militari saranno chiamati a risponderne a fine conflitto di fronte ad un tribunale penale internazionale, come ad esempio, senza scomodare i fantasmi di un lontano passato, recentemente è avvenuto per il leader serbo Milosevic, oppure dovremo nuovamente ritrovare premier di uno stato filo-occidentale uno degli indiretti corresponsabili di un massacro, quale quello di Sabra e Shatila?Quello che invece bisognerebbe chiedersi è perché dei genitori che vogliono bene ai propri figli non rinunciano ai propositi bellicosi ed iniziano una vera battaglia non violenta per ottenere il loro stato, invece di nascondere armi dentro moschee e palazzine densamente abitate?Bisognerebbe anche chiedersi perché i palestinesi continuano a sostenere Hamas, che ha come fine la distruzione di Israele e la costituzione di uno stato confessionale islamico su tutta la Palestina?
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Re: Re: 'Viva Santoro!' La guerra dei 60 anni in Palestina, fra stragi e tabù
di hudsucker del 19/01/2009 ore 15:53:20

i palestinesi forse hanno votato hamas perchè questi oltre a lanciare razzi qassam hanno aiutato materialmente il loro popolo a VIVERE e forse stanchi dei continui soprusi degli israeliani hanno voluto dare fiducia al movimento che gli resiste in maniera più dura. sembra che tu giustifichi la morte di centinaia di bambini, questo mi fa orrore....
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Re: Re: Re: 'Viva Santoro!' La guerra dei 60 anni in Palestina, fra stragi e tabù
di Gaspa4 del 19/01/2009 ore 23:41:57
http://gaspatcho.blogspot.com
Già, e tu giustifichi chi ha nel suo statuto queste cose:"Israel will exist and will continue to exist until Islam will obliterate it, just as itobliterated others before it""Allah is its target, the Prophet is its model, the Koran its constitution: Jihad is its path and death for the sake of Allah is the loftiest of its wishes.""There is no solution for the Palestinian question except through Jihad""Initiatives, and so-called peaceful solutions and international conferences, are incontradiction to the principles of the Islamic Resistance Movement."Bene, questi vogliono la guerra e la trovano.Non c'è nulla di strano.Questi mi fanno orrore.Gente che vuole fare la guerra sapendo di sacrificare i propri figli per il piacere di Allah.Gente che pensa che le conferenze internazionali e i trattati di pace siano contrari ai loro principi.Questo è il partito scelto dai palestinesi per il loro governo.Questo mi fa orrore.E mi fa anche orrore l'ignoranza dilagante.
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Re: Re: 'Viva Santoro!' La guerra dei 60 anni in Palestina, fra stragi e tabù
di alibabbà del 19/01/2009 ore 19:55:52
Commento Sconsigliato Leggilo comunque»
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Re: Re: Re: 'Viva Santoro!' La guerra dei 60 anni in Palestina, fra stragi e tabù
di Gaspa4 del 19/01/2009 ore 23:53:30
http://gaspatcho.blogspot.com
Ipocrita sarà lei, mi contesti i dati storici che ho dato se vuole essere credibile.
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Re: Re: 'Viva Santoro!' La guerra dei 60 anni in Palestina, fra stragi e tabù
di michele del 20/01/2009 ore 13:12:30
http://www.michelepinto.it
Caro “Gaspa4”,le assicuro che non è piacevole rispondere ad un anonimo che auspica la “rinuncia ai propositi bellicosi” e “l’ inizio di una vera battaglia non violenta” e poi mi attribuisce, già alla terza parola, “deliranti affermazioni” e, più oltre, “baggianate” e poi : “Ma cosa sta dicendo???, Lei non sa di cosa parla!”.Ma non si preoccupi per tutto questo, perché mi aspettavo di peggio e forse non è ancora finita: tuttavia non sono riuscito a tacere, considerando altresì che le vittime, palestinesi e israeliane, di cui stiamo interessandoci, hanno subito ben altri trattamenti. Devo invece riconoscerle uno spiccato senso critico ed una certa obiettività laddove individua contraddizioni e pecche in entrambi gli schieramenti contrapposti.Ciò non mi esime comunque dall’esporre i seguenti chiarimenti e controdeduzioni.Taluni tagli si giustificano con il carattere, che ho inteso dare al testo, di articolo giornalistico non già di un saggio storico; infatti è volutamente fazioso: sta dalla parte delle vittime anonime, inconsapevoli, incolpevoli, precipuamente civili e bambini. In virtù di alcune argomentazioni, sicuramente opinabili, ho voluto cioè dimostrare che sulla base dei principi universali del diritto naturale nessuno può permettersi di cacciare chicchessia dalla casa di abitazione o dalla patria, senza addebitargli gravi crimini, oppure uccidere persone inermi ed innocenti o bambini per colpirne magari altre colpevoli. In questi casi è consentito alle vittime sopravvissute reagire finché non vengano reintegrate nelle proprie case o sia loro resa giustizia. Molti palestinesi attendono da diversi decenni questo ritorno, auspicato dalla stessa ONU (risol. 194 dell’11-12-1948): alcuni di loro nel frattempo subiscono passivamente, altri protestano tramite contestazioni e manifestazioni politiche, una minoranza ha erroneamente aderito al partito armato. Le reiterate azioni terroristiche hanno causato molte vittime innocenti anche tra quegli israeliani che in buona fede hanno raggiunto la “terra promessa” , ignari dei retroscena politici , ed oggi, dopo aver fondato proprie radici e famiglie in Palestina, ne sono diventati cittadini a parità di diritti con i nativi. Per questo si auspica una pace duratura, ispirata almeno agli accordi di Oslo, che però minoranze estremistiche di entrambe le parti, più o meno strumentalizzate e provocate, sembra vogliano disattendere e rinviare di volta in volta.Entrando nello specifico delle obiezioni, ammetto di non conoscere la composizione dei venditori, verosimilmente multiproprietari, non essendo ipotizzabile che la stragrande maggioranza di abitanti legata ad un’economia di sussistenza avesse potuto vendere case, cortili e campicelli che permettevano loro di vivere nell’attuale territorio di Israele. Una cosa però è certa quelle compravendite fra privati attenevano appunto al diritto privato e quindi non potevano produrre alcuna forma di stato, ciò è infatti abusivamente avvenuto con le conquiste colonialistiche del passato, come fece l’Italia nel 1882 nella baia di Assab, trasformando un porto franco privatistico in sovranità territoriale.Per quanto concerne la densità demografica dell’antica Palestina agli inizi del ‘900 si dovrebbe quadruplicare all’incirca il territorio dell’attuale Israele, aggiungendo cioè la Giordania (90000 km2) e i 4 milioni di arabi ivi destinati successsivamente, se poi considera che le case arabe erano ad un piano, non certo palazzi né grattacieli, e che l’economia agro-pastorale richiedeva adeguate aree di coltivo e pascolo in una regione interessata da ampie zone desertiche, capirà che la mia affermazione non è poi così infondata. Nelle grandi città di Jaffa e Haifa, abitate alla fine del Mandato inglese da ca. 70.000 arabi, rimasero successivamente solo il 5% dei palestinesi (ca. 3500); dove sono finite le altre famiglie ? Per lo più nei campi-profughi, veda la citazione successiva.Continua...
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Re: Re: 'Viva Santoro!' La guerra dei 60 anni in Palestina, fra stragi e tabù
di michele del 20/01/2009 ore 13:13:02
http://www.michelepinto.it
...continua“…nella guerra di ripartizione del 1947-48: la maggior parte delle città Arabe venne conquistata e "purificata" prima del 15 maggio 1948, data alla quale ufficialmente si scatenò la "guerra d'indipendenza". La popolazione urbana Araba di Haifa [70.000 abitanti], Tiberias e Tsfar, così come dei dintorni Arabi meridionali e occidentali di Gerusalemme, venne allontanata prevalentemente nell'Aprile del 1948, proprio sotto il naso dell'Amministrazione Mandataria Britannica. Al fine d'incoraggiare la fuga dei residenti Arabi che restavano nelle loro case di Gerusalemme, l'Agenzia Ebraica si dette da fare per spargere la voce che le proprietà di quegli Arabi che avrebbero abbandonato le loro case a causa degli scontri, sarebbero state restituite loro alla fine dei combattimenti (Yediot Aharanot 5/4/1948). Naturalmente ciò era solo una favola. Quando gli scontri terminarono, soltanto il 5% della popolazione Araba originaria restò nelle città Arabe, includendo Jaffa[70.000 abitanti], Lod, Ramleh e le altre città citate in precedenza - e questo numero comprendeva addirittura anche I rifugiati dai villaggi Arabi dei dintorni. Queste città vennero popolate da Ebrei ed I rifugiati Palestinesi che rimasero furono concentrati in quartieri Arabi separati, come WadiNissnass ad Haifa, Ajami a Jaffa e la città vecchia a Ramleh. La città Palestinese cessò di esistere come fattore di risveglio e fermento di progresso a partire da una prospettiva nazionalistica. La sua assenza rese possibile l'istituzione di un'amministrazione militare, economica e conveniente per le autorità, ad una società che venne costretta a ripiegare su se stessa indietro di molte generazioni. La scomparsa della città Palestinese trasformò la società Araba in Israele da una società organica con una stratificazione in classi sviluppata, in una società marginale subordinata ai centri urbani Ebraici, compresa la totale dipendenza del proletariato Palestinese dai siti d'impiego nelle comunità Ebraiche. [Da E. Aminov “Il Sionismo e la città palestinese]”Sulla “proposta della Commissione Peel, la quale, prendendo atto della maggioranza ebraica in alcune zone della Palestina, già nel 1937 proponeva la divisione della regione in due stati, uno arabo e uno ebraico, con Gerusalemme sotto gestione internazionale” osservo che la maggioranza palestinese non poteva accettare di vedersi sottrarre il proprio territorio per costituirvi un nuovo stato di immigrati,contrariamente alle precedenti rassicurazioni inglesi, sottoscrivendo pacificamente l’affare: oggi, con due nuove generazioni di ebrei nate in loco, la maggioranza dei nativi arabi ritiene naturalmente di dovere coesistere con il nuovo stato d’Israele.Sull’ “alleanza” , nel periodo bellico e postbellico, fra gli Stati Uniti e il Movimento Sionista, Israele nascerà ufficialmente solo nel 1948, veda il seguente brano tratto dall’enciclopedia Wikipedia:“Verso la fine degli anni trenta, dopo la Grande Rivolta Araba e i falliti tentativi di divisione della Palestina in due Stati, sollecitata dalla Commissione Peel, la Gran Bretagna si pentì di aver sostenuto il movimento sionista, che mostrava aspetti inquietanti e violenti e cominciò a negare al sionismo quel discreto appoggio politico che fin lì aveva garantito, producendo il "Libro Bianco" nel 1939. Ciò indusse pertanto gli ebrei palestinesi a cercare negli Stati Uniti quello che fino ad allora aveva concesso loro l’Impero britannico.Con la II Guerra Mondiale gli ebrei (con l'esclusione del gruppo della Banda Stern) si schierarono con gli Alleati. mentre molti gruppi arabi guardarono con interesse l'Asse, nella speranza che una sua vittoria servisse a liberarli dalla presenza britannica. L'esito del conflitto non valse perciò a modificare la situazione di stallo che sfavoriva la popolazione araba, ancora maggioritaria.”Da queste successive citazioni tratte dalla stessa fonte, ben documentata, come lei potrà facilmente verificare, alla Giordania era stata conferita solamente l’area ad est del Giordano: la Transgiordania. Per il resto, sui dissapori fra le popolazioni arabe del Vicino Oriente e sullo strapotere militare di Israele sono d’accordo con lei, ma questo non inficia le mie argomentazioni sui diritti naturali inalienabili dei civili residenti nella Cis-Giordania, che andavano e andrebbero tuttora tutelati, come tutti noi penso desidereremmo per le nostre abitazioni, i nostri possessi e le nostre tradizioni.“Così, nel 1922 l’Inghilterra, seguendo quanto già deciso negli accordi di Sykes-Picot, concesse tutti i territori ad est del fiume Giordano (quasi il 73% dell'intera area del Mandato) all’emiro Abdullah. Questo divenne la Transgiordania, con una maggioranza di popolazione araba (nel 1920 circa il 90% della popolazione, stimata in un totale di circa 4.000.000 di abitanti, mentre l'aera ad ovest del Giordano venne gestita direttamente dalla Gran Bretagna.”“…permise loro [agli Israeliani nel 1948] non solo di resistere agli eserciti arabi ma anche di contrattaccare e di occupare militarmente gran parte della Palestina, a eccezione della striscia di Gaza e della Cisgiordania, rispettivamente occupate dall'esercito dell'Egitto e dalla Legione Araba dell' emirato di Transgiordania (poi Regno di Giordania), che considerarono comunque quei territori palestinesi come "un sacro deposito" da restituire al futuro Stato indipendente di Palestina non appena questi avesse avuto il modo di costituirsi, come ebbe a dichiarare l' Emiro Abd Allah di Transgiordania.”Cordiali saluti. Ettore Baldetti
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Re: Re: Re: 'Viva Santoro!' La guerra dei 60 anni in Palestina, fra stragi e tabù
di michele del 20/01/2009 ore 13:14:51
http://www.michelepinto.it
Off - Topic
Ho inserito io il commento al posto del Professor Baldetti che ha riscontrato problemi tecnici.
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Re: 'Viva Santoro!' La guerra dei 60 anni in Palestina, fra stragi e tabù
di Brick del 19/01/2009 ore 18:53:49

Belle chiacchiere faziose, proprio come quelle di Santoro.........per fortuna chi la pensa a questo modo è solo una minoranza
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Re: 'Viva Santoro!' La guerra dei 60 anni in Palestina, fra stragi e tabù
di jekMark del 19/01/2009 ore 21:28:12
Commento Sconsigliato Leggilo comunque»
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Re: Re: 'Viva Santoro!' La guerra dei 60 anni in Palestina, fra stragi e tabù
di gatini del 19/01/2009 ore 23:48:54
http://
Andrebbe annientato chi ha ucciso senza nemmeno guardarli in faccia centinaia di bambini Palestinesi, spesso assieme alle loro madri. E auguro tale fine anche a chiunque si sente di giustificare questa guerra come giusta e le vittime civili come effetti collaterali. Se volete annientare Hamas, cari filoisraeliani, andate a prenderli uno per uno, è troppo comodo bombardare a tappeto, indiscriminatamente. La resistenza Palestinese non è diversa da quella che ci ha dato la libertà dal nazifascismo. I nazifascisti uccidevano civili e incendiavano paesi, per rappresaglia, perchè i resistenti, cercavano di liberae i loro territori occupati dall'invasore tedesco. Il Popolo Palestinese, oppresso ed affamato, ha il diritto e dovere di difendersi. Il problema siamo noi, che dal basso delle nostre comode poltrone ce ne stiamo buoni buoni a sparare sentenze, dimenticandoci da dove veniamo, e senza renderci conto di dove andremo a finire. Io, me ne vergogno.
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Re: Re: Re: 'Viva Santoro!' La guerra dei 60 anni in Palestina, fra stragi e tabù
di Daniele_Sole del 21/01/2009 ore 23:15:15
http://
potrei esser deccrdo, se non fosse che il paragone "resistenti-hamas" non calza affatto in questo caso: lì avevamo delle persone che oppresse da un'occupazione ha combattuto per liberarsi, là abbiamo una parte di nazione di fatto non più occupata(Gaza, da cui gli israeliani si sono volontariamente ritirati) controllata da una parte politica (Hamas) che, finito un periodo di tacito stallo ha deciso di tornare a lanciare razzi verso Israele... e ancora ci fosse stata una sola persona che ci abbia detto perchè hanno davvero voluto fare ciò, visto che la situazione di stallo era in realtà una condizione du lento riallacciamento di relazioni internazionali.Poi Israele ha fatto il resto, con la sua solita pazienza che dura due secondi...